Oggi mi è salto all’occhio un articolo su repubblica.it in cui si parlava di Netflix e di una sua pubblicità a Madrid, un banale manifesto nel cuore di Madrid in cui l’attore che interpreta Pablo Escobar nella serie Narcos augura agli spagnoli un “Bianco Natale” con evidenti riferimenti alla cocaina.
Leggendo questo articolo non ho potuto fare a meno di pensare ad un documentario, anche questo su Netflix, di Dan Ariely professore di psicologia alla Duke University, in cui parla del caso di Tucker Max, un blogger che, grazie alla “pubblicità dell’indignazione” è passato dall’avere un blog, a vendere 2milioni di copie del suo libro fino a farne un film, il tutto con minimi investimenti economici.
La tecnica utilizzata è pressoché la stessa: creare delle pubblicità che sicuramente saranno obiettivo dell’indignazione di massa, far sì che vengano rimosse (addirittura qui si è scomodato il governo Colombiano) e, proprio in seguito alla rimozione l’effetto è quello che la notizia rimbalzi in tutto il mondo generando pubblicità gratuita, camuffata da notizia, nei giornali di tutto il mondo.
Questa è una scena del documentario in cui il blogger/scrittore chiede al suo collaboratore di impegnarsi affinchè le pubblicità del film vengano ritirate dall’azienda che le espone in maniera tale che tutti i giornali ne parlino e che le vendite a Chicago schizzino alle stelle
Beh, complimenti a Netflix per l’operazione e, soprattutto in quest’epoca di social network, vi esorto a farvi una domanda: quella notizia che state criticando, quella cosa nei confronti della quale provate una profonda indignazione è solo un’opinione diversa dalla vostra oppure una notizia creata ad arte perchè si generasse tanto rumore attorno ad essa?